Un film con Laura Morante, Federico Cesari, Rosa Diletta Rossi, Giorgio Marchesi, Mariano Rigillo.,
Legge poesie Alda Merini, legge i suoi versi a un pubblico distratto ma tra loro c’è Arnoldo (Mosca Mondadori), un giovane uomo che diventerà il suo sostegno e il suo interlocutore. È a lui che racconta, tra un caffè e una sigaretta sempre accesa, la storia della sua vita. Comincia dalla prima giovinezza, Alda, dal sogno precluso di studiare e di farsi poetessa. Ma nonostante la madre e i professori troppo pedanti, riuscirà nell’impresa grazie al circolo letterario e la stima di Spagnoletti, Corti e Quasimodo. Poi il matrimonio con Ettore, “prestinaio” a Milano che la sposa e la fa internare. Tre figlie e dodici anni di manicomio dopo, uscirà per ‘seppellire’ il suo sposo senza perdono e ricominciare una vita che l’incontro con Michele Pierri, poeta napoletano e spirito libero, farà bella e radiosa come il sole di Taranto. Trent’anni li separano ma un sentimento lirico li unisce fino alla crisi di Alda e alla morte di Michele. Rientrata a Milano, continuerà sola e morirà nel novembre del 2009, con una sigaretta in mano e tante rime negli occhi.
È un genere ingrato il biopic, per quella sua difficoltà ontologica a elevarsi all’altezza del suo modello. Se parliamo poi di Alda Merini la sfida raddoppia per Roberto Faenza che prova a incarnarla e a incarnare la sua poesia a nervi scoperti.
A servirlo è Laura Morante, attrice timida ed esigente che fugge il chiasso mediatico e pratica la discrezione. E la discrezione è la sua concezione del mestiere. La sua bellezza naturale, lo sguardo nero e ardente compongono il ritratto di Alda Merini che dimora a Milano e ama alla follia la poesia e i suoi “dolcissimi amanti”. Come dice nel suo ritratto in versi (“Amai teneramente”) per il mondo fu “soltanto un’isterica” ma per Faenza è una donna senza compromessi e per Morante un’evocazione, gesti, note, parole da apprendere e ripetere. È un dialogo a distanza con una donna che ha semplicemente bisogno di amare e di essere amata. La sua follia è una follia d’amore.
Diviso in tre capitoli, che seguono tre stagioni della sua vita e vivono con tre attrici differenti, ma legate dallo stesso ardore, Folle d’amore è un racconto cauto che sfuma la durezza dell’ospedale psichiatrico – che ha costituito l’esperienza essenziale della sua esistenza, fino a condizionare la sua vita privata e l’atto stesso della scrittura – e resta sul sentiero della cronaca. Forse in soggezione davanti alla prodigiosa abbondanza dei suoi versi, sovente ‘buttati’ spontaneamente sulla carta, Faenza non osa e resta nei sicuri confini del biopic agiografico.
Il suo comprensibile pudore inciampa sulla spudoratezza della personalità e dell’opera di Alda Merini, ‘donna diversa’ e spettacolare dietro al volto da vecchia stregona del popolo, giocondo o angosciato. Sigaretta alle labbra sotto un velo di fumo, Folle d’amore aderisce al prototipo di biografia di artisti maledetti che i registi girano volentieri perché accolti favorevolmente dal pubblico: la meticolosa ricostruzione d’epoca, il raggiungimento dell’opera attraverso lo sforzo e la sofferenza, l’atto della creazione artistica incarnata nell’esaltazione di un interprete tormentato. Legittimo ma il risultato è un film senza cimento che non prende fuoco, non è grido di disperazione, delirio manifesto, misticismo sensuale.
commento visibile quì:
https://www.mymovies.it/film/2023/folle-damore-alda-merini/
tres che a questa tarda ora vi regala quest’altro film e vi ricorda che Camboni e Zunino sono dei gran ladri
https://mega.nz/file/MrMAwQjS#RWHXIKXUPpq8-jLrX_rb64L2ZsPpBkk1375IySmhFZU