Hitchcock.Truffaut.SubIta (Kent Jones, 2015)

Regia di Kent Jones. Con Martin Scorsese, Paul Schrader, Kiyoshi Kurosawa, Arnaud Desplechin, James Gray, Olivier Assayas

Titolo originale: Hitchcock/Truffaut. Genere Documentario, – USA, 2015, durata 79 minuti

La conversazione-Libro più affascinante tra due pilastri della storia del cinema, arricchita oggi da riflessioni di altri registi
1962: mentre la Nouvelle Vague si afferma nel mondo, François Truffaut, giovane critico dei “Cahiers du Cinéma” (e allora già autore di I 400 colpi, Jules e Jim e La calda amante) chiede un’intervista “in profondità” al celebre regista Alfred Hitchcock, inglese di stanza a Hollywood, dove sta ultimando il suo quarantottesimo film (Gli uccelli). In linea con i colleghi della prestigiosa rivista francese, l’obiettivo è ribadire la statura di “autore” di Hitchcock, che negli Stati Uniti era considerato piuttosto un “intrattenitore”, con pregiudizio rispetto al successo tv di Alfred Hitchcock Presents. Dalle fitte conversazioni tra i due scaturisce un volume, anche fotografico, fondante e accessibile: François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock (da noi pubblicato da Pratiche nel 1977, poi rieditato da Saggiatore).
Pur nella distanza d’età (uno ha 30 anni, l’altro 63) e di punti di vista, i due condividono una passione totalizzante per l’arte cinematografica: il primo ha le competenze tecniche per discutere nel dettaglio del mestiere, il secondo la passione di chi si diverte a spiegare a un collega e fan come smontare le macchine costruite in decenni. Così, gradualmente, si svela l’uomo dietro le opere e si definiscono concetti come il MacGuffin (il pretesto in sé irrilevante ma attorno a cui ruota l’azione), la suspense, il rapporto con gli attori; tutto a servizio del cinema “puro”, inteso come architettura di idee e sfide visive.
Hitchcock/Truffaut parla anche a un pubblico non specializzato ma è soprattutto una goduria per il cinefilo: il co-sceneggiatore è Serge Toubiana, critico ed ex direttore dei “Cahiers du Cinéma”, mentre il regista Kent Jones è direttore del New York Film Festival, nonché direttore artistico della Fondazione World Cinema, co-sceneggiatore di Il mio viaggio in Italia (2001) di Martin Scorsese, regista di Val Newton: The Man in the Shadows (2007), co-regista con Scorsese di A Letter To Elia (2010), documentato ritratto della forza ispiratrice di Elia Kazan.
Date le premesse, l’accesso diretto e competente alle fonti è garantito: ai film muti, da cui Hitch era partito come titolista e gli archivi video e fotografici delle major si aggiungono gli estratti dall’audio originale delle conversazioni, comprese due significative richieste dell’inglese di spegnere il registratore (forse in cerca di risposte accettabili, in tema di cattolicesimo e lavoro con gli attori) e gli scatti di Philippe Halsman, collaboratore storico di Salvador Dalì, che colgono il farsi dell’intervista insieme alla traduttrice e cruciale collaboratrice Helen Scott, allora ufficio stampa del French Film Office negli Usa. Rispetto al libro, il documentario riscopre due passaggi inediti, stimolati dal regista francese: un parere su una scena di I 400 colpi e un confronto sui metodi opposti (“partecipato” vs “individualista”) adottati prima e durante le riprese. In questo flusso si innestano le riflessioni, su una poetica imponente, di dieci registi di ieri e oggi (grande assente: Brian De Palma, il più evidente degli allievi di Hitch, forse più appropriato del meno noto Kiyoshi Kurosawa).
Tra guilty pleasures dichiarati (Marnie come film “maledetto”, La donna che visse due volte come pura fantasia), ossessioni condivise, temi ricorrenti come il trasferimento di colpa, si rilevano l’estremismo e la violenza che Sir Alfred astutamente celava dietro forme raffinate. Si evidenzia anche, di riflesso, la diminuita libertà e la frustrazione degli epigoni nel conflitto con l’industria; anche queste, come l’amarezza per il riconoscimento tardivo (immortalato dal repertorio dell’American Film Institute), raccontate nella postfazione al libro aggiunta da Truffaut. E si capisce come, ancor di più dopo il successo epocale di Psyco, Hitch sia assurto a emblema dell’indipendenza della categoria, rivendicata poi anche dalla New Hollywood di Scorsese e compagni, e mai slegata dal desiderio di presa sulle platee.
Sulla falsariga del volume, insomma, il film rimarca l’originalità di Hitch, la precisione della costruzione, l’unicità del rapporto intimo stabilito con chi guarda. Non a caso il francese trovava limitante la definizione di master of suspense e le affiancò quella di “artista dell’ansia”: un autore la cui principale tecnica è restare in contatto con le proprie paure primarie. Con l’effetto di invischiarvi implacabilmente il proprio pubblico.

Recensione di Raffaella Giancristofaro: https://www.mymovies.it/film/2015/hitchcocktruffaut/

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